Caro Luca Baldelli,
lei forse non lo sa ma da grande farà lo Scommettitore. E adesso non mi tiri in ballo questioni anagrafiche perché lo sa meglio di me che nel suo quaderno ciò che conta non sono le voci ma il momento in cui le ha rubate. È vero, il suo autore sostiene che il Quaderno sia una storia che contiene altre storie, e basta, ma l’intreccio di vite è determinante anche per Clelia e per quell’uomo in fuga che lei sarà, un giorno. Che poi la storia più importante è proprio il suo quaderno, caro Baldelli, e per scriverla c’è voluto un quaderno vero – quello che abbiamo in mano noi che leggiamo – perché ci fossero tutte le voci, anche la sua.
Dicevo, lei forse non lo sa. Ma lo Scommettitore c’è già, privo – certo – di quella corazza e di quel doppio strato che gli permetteranno di lasciarsi scivolare addosso la vita con apparente disincanto. Lei invece, Baldelli, con le sue «frotte di rimpianti» e «qualche nostalgia», si pone ancora delle domande, è capace di farsi luce dentro e all’occorrenza addossarsi la responsabilità di certe scelte mancate e della sua solitudine. Sa ascoltare, sa sentirsi escluso e tradito, sa fremere e disperarsi, finanche sentire la mancanza di un Dio, consapevole che solo il non ancora riserva futuro, speranza e possibilità.
Difetta di coraggio, se posso permettermi. Fa un uso improprio del bancone del suo bar, usandolo come scudo e filtro, talvolta muro. Sarà un caso che libro e quaderno finiscano insieme, quando lei smette di rubare le voci altrui e di prenderne nota? Lì comincia tutta un’altra storia, mi pare, senza più il terrore di perdere le cose mai scritte. Già, è che la vita ogni tanto la sfiora, altre volte le piomba addosso; lo si avverte dal suo nervosismo di fronte alle frasi “troppo vere” pronunciate da altri. Non c’è nulla che imbarazzi quanto il vedersi denudare l’anima. E non parliamo di quando è la morte a passarci vicino: tutto ciò che pensavamo e per cui ci saremmo giocati l’anima si dissolve come quell’inconfondibile odore di toscano invecchiato che lei ben conosce; e nelle mani, ciò che resta, non te lo levi più di dosso.
Pensi che non ero ancora arrivata a pagina 137 e prendevo al volo un appunto: Baldelli è l’uomo delle occasioni mancate, del coinvolgimento schivato, del legame respinto, dell’amore allontanato da sé; l’uomo che troppo tardi si avvede della perdita e di cosa abbia lasciato andar via. È accaduto con Lalla, riguarda Lucia, coinvolge Teresa. Ma è una continua fuga da cui lei non si salva e di cui non è proprio il caso di tessere l’elogio. Bisogna fermarsi, qualche volta, e se proprio non si riesce a dare un nome a quel che ci accade ascoltare almeno il ritmo del proprio respiro. Per non doversi rammaricare di aver trattenuto solo voci di rabbia e disperazione, o sguardi tristi senza storie, fotografie ingiallite, e mai sorrisi. Ché a incantarsi sulle stelle cadenti o a restare sul bordo della scogliera ad osservare la tempesta, a volte, ci sfugge la vita.
Volevo dirle, caro Luca, che grazie a lei ho scoperto di avere i gusti dei suoi coetanei. Dei soli a cui pare piacciano le storie vere assai più delle sperimentazioni e delle acrobazie costruite intorno alle potenzialità della scrittura. Se è roba da pensionati amare un certo fluire degli accadimenti accompagnato dagli stati d’animo e da un edificio solenne di pensieri e di ricordi in ordine sparso, non ancora franti dall’esasperata ricerca dell’essenziale a tutti i costi. Ché saranno mica inessenziali, le vite, le storie, le voci, in tutta la loro imprevedibilità e incapacità di far quadrare il cerchio, nel loro obbedire alle sole regole della memoria e agli equilibri precari che la stessa impone aprendo improvvise voragini sotto i nostri piedi? Perché, come si fanno i libri se non con le storie che ci assomigliano, o lei ricorda per caso un solo lettore capace di nutrirsi esclusivamente delle prelibatezze dello stile senza reclamare un luogo e un tempo in cui specchiarsi e riconoscersi e un pezzo di vita da mordere avidamente?
Ah, dimenticavo. Forse nel suo quaderno ci sarei finita anch’io: sostengo da sempre che vorrei morire ridendo, proprio come uno degli avventori (pensionati) del suo bar.
Remo Bassini
Il quaderno delle voci rubate
La Sesia, Vercelli 2002
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