Come confessare che nomade, se mai lo fossi, sarei comunque come un’ostrica attaccata al suo scoglio? Avevo occhi da sognatore, una faccia scettica e una fronte inquieta in cui ciascuna ruga era il ricordo di uno dei miei peripli tra le isole-sotto-vento, le isole-nel-vento e le isole-sopra-vento. Divenni esotico da capo a piedi. Se a volte tornavo verso l’Europa e le sue “antiche sponde”, la mia vera vita era altrove – alle isole Aleutine. […] Invece di essere uno scrittore viaggiatore perché avevo viaggiato, avrei viaggiato perché ero uno scrittore viaggiatore, che è quasi la stessa cosa.
Alla domanda “Perché viaggiate?” Gilles Lapouge risponde con la necessità di raccontare i suoi viaggi, chiudendo idealmente un cerchio interamente tracciato dall’inchiostro. Da lui, prima scrittore e poi viaggiatore, apprendiamo i segreti di un viaggio di reinvenzione che inizia nei testi scritti e porta a “scoprire” (davvero) soprattutto ciò di cui si è già letto; dunque ispirandosi a chi ha viaggiato prima di lui scrivendone. Compiendo un lavoro preliminare su geografia, mappamondi, carte nautiche, atlanti. Ritornando, ritrovando, attraversando il già accaduto e compiendo in sostanza un viaggio nel tempo invece che nello spazio: «Anche se sono al mio primo viaggio, visito la mia memoria».
Se un libro è l’immancabile punto di partenza di ogni viaggio, l’esploratore (di testi) infila i suoi passi nelle orme di chi lo ha preceduto. E ci regala pagine intense e visionarie, tra l’India, il Brasile e l’elogio dell’isola («Le isole sono la felicità dei naufraghi. E un uomo è sempre una specie di naufrago»), non mancando di ricordare quell’Europa viaggiatrice, beneficiata dagli dèi di geografie plurime, ricca di finisterre che al contempo sono partenze e arrivi, «immenso imbarcadero» dallo spirito luminoso con l’unico sogno di salpare. E divertendosi a collezionare le sue luci prima che si dileguino, partendo dal sole del Mediterraneo, passando attraverso le luci sottili della terraferma, riguadagnando i colori e le necessarie ombre disegnate su dettagli altrimenti destinati a sfuggire allo sguardo. Anche le luci – ci avverte – viaggiano ignorando i confini: a volte quella di Venezia fa capolino all’estremo nord della Scozia, altre volte con il cambio di stagione la luce dei Balcani vagabonda tra i Pirenei e il Salento.
Viaggio e scrittura coincidono, se è vero «che un viaggio non solo comincia a esistere a partire dal momento in cui lo si converte in inchiostro, ma anche che ogni viaggio, compresi quelli in terre sconosciute, non è che il ricordo di un antico inchiostro». L’immagine è suggestiva, e si comprende alla luce di quanto Lapouge racconta risalendo alla sua infanzia: il fascino dell’inchiostro, il suo amore per il tempo e le solitudini, la sua pazienza nel restituire le parole dopo averle lasciate a lungo sedimentare, l’immaginario che porta con sé insieme alla capacità di dar vita a cose, persone, luoghi di cui traccia nome o contorno. Con una digressione poetica sulle carte assorbenti (vera e propria operazione di archeologia della memoria) custodi di pensieri incompiuti, frasi lacunose e parole relitto, dove «le diverse pagine di uno stesso capitolo, o forse anche di uno stesso libro, hanno mescolato tutte le loro impronte» e in cui riposano «le vestigia inestricabili di un libro che non è mai esistito, di un romanzo fantasma appena immaginato».
Pensieri e ricordi particolarmente accorati vanno all’inchiostro simpatico, alla sua magia e alla sua capacità – rianimato dal fuoco – di manifestare la scrittura e il suo senso. Sicché alla domanda “Perché leggete?” – così simile a quella iniziale riguardante il viaggio – l’autore confessa la coincidenza con quel gioco spensierato, indirettamente riecheggiando l’effetto prodotto dagli “antichi inchiostri” che inducono a partire: «Per assistere al miracolo del limone, per vedere il testo, anche se in cenere, anche se annegato e macerato, uscire da dietro le quinte e raccontare meraviglie. Posso percepire la legge del limone a ogni lettura. Se apro un libro, ho sotto gli occhi un groviglio di segni sopiti. Dormono. Sono in letargo. Io li guardo. Li riscaldo. Cominciano a muoversi. Bisbigliano. Un libro è simile a un orologio fermo che basta caricare perché i suoi meccanismi si ridestino. Si formano paesaggi. Madame Bovary fa l’amore in una carrozza e Madame de Villeparisis fa portare dei magnifici frutti all’hotel di Balbec».
Dicono…